mercoledì 11 dicembre 2013

Viaggio in Svizzera


Dopo 3 mesi trascorsi nella patria degli orologi (a cucù) e del cioccolato è d'uopo una riflessione sul soggetto svizzero. E' vero che non ho avuto occasione di conoscerne molti; nell'ambiente che frequento c'è di tutto tranne gli svizzeri. Ma ho avuto alcune esperienze di prima mano e altre di seconda.
Forse era Churchill a dire che l'idea che ti fai di una città nei primi 15 giorni potrà cambiare nel tempo, ma sarà la stessa che avrai dopo 15 anni. Insomma, la prima impressione è spesso quella giusta e questo vale anche per le persone. E quindi, udite udite: tutti gli stereotipi sono assolutamente corretti.


Ne citerò uno in questo post: lo svizzero è quadrato. 
Ma non come un blocco di cioccolato, come una roccia di 30 metri per 10 di marmo di Carrara.  Esempio di prima mano: scontro con l'autorità svizzera. 
Antefatto: qui il parcheggio è come oro liquido. Uno pensa, mica vado a Manhattan, vado in una città tutto sommato piccola e piena di caprette che fanno ciao. Vuoi che non ci sia un parcheggio a strisce bianche? No, non c'è. Ma neanche uno. Ci sono a pagamento. Perchè un'altra regola ferrea che si impara subito è che qui si paga per tutto. Cambi indirizzo e devi aggiornare il permesso di soggiorno? E vai con 45 franchi. Perdi un cucchiaio dell'appartamento che ti hanno affittato? Lo rimborsi. Vuoi la TV? Paga il canone (si anche qui, uno pensava di liberarsene... e lo paghi anche se non hai la TV. Del resto hai di certo un PC). Vuoi iscriverti al club degli amici del falco pellegrino e della passera scopaiola per fare nuove conoscenze? 90 franchi all'anno. Eccetera, ecc... Ma tutto sommato ha senso. Le tasse sono basse, i servizi sono davvero buoni.
Quindi garage pubblico mensile: 190 franconi al mese. Posso lasciare l'auto per tre mesi e quindi decido di rinnovarlo mese per mese non avendo ancora un'idea precisa rispetto all'area in cui mi trasferirò nel breve periodo. Il primo rinnovo tutto bene. Al secondo la macchina dà un errore. Forse la carta è smagnetizzata o qualcosa del genere, penso. 
Sapete quel tasto che c'è nelle macchine automatiche, con la I di informazioni o per chiedere aiuto? Quello che se lo premi in Italia emana scariche elettrostatiche per 5 minuti prima di micro-esplodere o ti fa sentire la voce lontana di uno che risponde da Caserta mentre mangia l'impepata di cozze?
Ecco, quello. Lo premo. Risponde una voce alla quale spiego brevemente il misfatto e mi dicono che qualcuno arriverà in 5 minuti. Dopo 5 minuti è arrivato qualcuno davvero. Se non hai colto l'ultima frase, rileggila.
Comunque, salta fuori che il rinnovo della carta si può fare sì per 3 mesi, ma il numero di rinnovi è al massimo 1, quindi valeva la pena rinnovarlo direttamente per la durata di 2 mesi (a saperlo...). E dove sta scritto, chiedo io sinceramente curioso di capire come avevo potuto perdere un'informazione del genere. E qui lo svizzero che è in lui replica: è la regola. MA LA REGOLA DI CHI???? E lì mi immagino mentre prendo l'auto, sfondo la barra del parcheggio e facendo il dito grido: è questa la mia regola!!!!!!! (Nella versione deluxe glielo grido in tedesco svizzero.)
Con grande savoir faire chiedo: e quindi cosa dovrei fare adesso? E lui, con altrettanto savoir faire prende la mia tessera, la inserisce e mi mostra l'ammontare da pagare per uscire, pari a circa 20 giorni di parcheggio, ovvero più o meno 500 franchi. Naturalmente simulo uno svenimento, una collega mi fa riprendere coi sali e dico: beh, magari prima di pagare questa cifra parlo con qualcuno dell'ufficio. E lui, serafico come l'angelo della morte: ok, questo è il numero. Comunque in ufficio ci sono io. 

Seguono giorni in cui penso a piani alternativi alla Arsenio Lupin assieme ai colleghi. Ma ogni volta che un'idea sembra geniale, dopo 5 minuti emerge la non fattibilità per un qualche motivo. Morale: questi bastardi di svizzeri i parcheggi li costruiscono bene e non c'è verso di uscire fregandoli. E quindi, si. Ho pagato.
L'idea di chiamare l'ufficio per chiedere altri chiarimenti e magari un rimborso mi tenta ancora. Ma questa è la differenza tra me e loro. Piuttosto che vivere tutto lo sbattimento per un ipotetico, parziale, sudato rimborso, pago 'sti franchi e vaffanculo. Io sono italiano.

PS: lo so, alcuni italiani hanno la mentalità del parcheggio svizzero e intenterebbero una causa alla municipalità tutta. Ma sono pochi e sicuramente sono parenti di Gugliemo Tell. Altra eccezione sono i napoletani. Loro avrebbero trovato un modo per uscire dal parcheggio.
L'ozioso

mercoledì 23 ottobre 2013

Lezioni di pendolarismo: lo studente universitario

Fare i pendolari ha i suoi vantaggi.
Ad esempio, piano piano riesci a crogiolarti in alcune abitudini, inizi a riconoscere le facce, ti assuefai all'ansia di arrivare in ritardo (il che spesso può diventare un problema ma niente di irrisolvibile con una buona sveglia sul cellulare) e ti godi il passaggio con attività che normalmente non riusciresti a fare.

Con 12 anni di onorato servizio, posso a tutto diritto considerarmi una pendolare incallita della tratta Bologna Catania, e credo che sia giunto il momento di fare outing. C'è stato un periodo in cui anche io portavo dietro il mio buon libro, o il lettore di mp3, ma in realtà niente mi ha mai distolto davvero come il mio più grande hobby: osservare i viaggiatori del Bologna Catania. 

I viaggiatori del Bologna Catania, sono particolari e diversi da tutti gli altri, persino da quelli del Catania Bologna. Sono una varietà di specie variopinta e multiforme, ma mi piacerebbe intrattenervi con alcune delle più frequenti categorie. Oggi vi parlerò dello studente universitario.                                                                                                                                                                                                                                    Lo studente universitario. Il volo Bologna Catania è pieno di studenti che tornano a casa per le vacanze o tra un esame ed un altro. Normalmente lo studente universitario assorbe come una spugna gli usi dell'ambiente che frequenta ed essendo inesorabilmente siciliano, li esaspera. Sul sedile accanto al tuo puoi trovare il ragazzo con il cappello con la visiera tesa e larga leggermente inclinato a destra MA i pantaloni stretti a sigaretta che lasciano intravvedere le mutande, la maglietta rigorosamente di acrilico a rombi fluorescenti, un misto tra rap e discodance. Se sei fortunata non si è rovesciato sopra l'intera boccia di colonia.
Tipo lui con il cappello
Oppure, il trasandato, barbuto, con un paio di piercing, con il pantalone dal cavallo basso ma largo largo, magari con qualche toppa, le all stairs e la borsetta con il trinciato e le cartine. Se sei fortunata non puzza.

Evidente proiezione di come vorrei che apparisse il trasandato
Entrambi allacciano la cintura e poi svengono a bocca aperta sul sedile.
Lo studente universitario, se non ti stende con i suoi effluvi, è un ottimo compagno di viaggio, non interagisce, dorme tutto il tempo, sta nei suoi spazi.

La studentessa universitaria. Merita una categoria a parte. Le studentesse possono essere vestite diverse, essere fighette o fricchettone, ma in entrambi i casi hanno una caratteristica comune (non pervenuta nei maschi): portano con sé almeno un libro universitario. Rigorosamente fotocopiato. Sottolineato con 4/5 colori diversi. Le trovi già al gate che leggono fitto fitto questo libro e ti chiedi se sia un approccio sistematico o un diversivo per smorzare l'attesa. In ogni caso finché leggono e basta, sono un'ottima compagnia.

Semmai doveste avere dei dubbi su questi due profili avrete sempre la prova del nove. Al gate arriverà sempre, e dico sempre, una chiamata del genitore ansioso di turno, e li dalle loro boccucce serrate e fini uscirà tutto il suono dell'accento meridionalo veramente. Vi saluto con una scena che non è poi così dissimile dalla realtà, alla prossima puntata

lunedì 21 ottobre 2013

"Eating animals"



E' sempre difficile condurre una seria discussione sul vegetarianismo. E' un po' come parlare di religione. Si teme sempre di offendere la sensibilità altrui. Ma così si finisce per non parlare mai del tema. E' molto probabile innescare una lite: da una parte la difesa totale degli animali ("molti animali sono meglio degli esseri umani" è un'affermazione molto comune – e altrettanto stupida) e dall'altro lato il partito del “io mangio qualunque cosa abbia quattro gambe, esclusi i tavoli” - ricco di sostenitori in Cina.
Naturalmente la verità sta nel mezzo, ma il punto di ogni discussione, visto che la verità sta sempre o un più a destra o un più a sinistra, è appunto capire da quale lato pende. 
Ho pensato che la lettura del libro “Eating animals”, del giornalista americano Jonathan Safran Foer, che ha fatto un'inchiesta nel mondo dei macelli durata tre anni, potesse aiutarmi a comprendere meglio la situazione.
Dirò subito che purtroppo il libro non è particolarmente illuminante ed è infarcito di retorica americana. In diversi punti l'autore ci tiene a sottolineare con mielosi episodi infantili i motivi che l'hanno indotto a diventare vegetariano. Vabbè. Naturalmente c'è di mezzo anche il bene dei suoi figli nel momento in cui diventa padre. Vabbè. Per intenderci, il libro vuole parlare alla pancia del lettore e non al cervello (comunque fallisce entrambi gli obiettivi e alla fine della lettura correresti in un prato a fare una grigliata).
Tuttavia ci sono alcune informazioni interessanti che rivelano certe caratteristiche del tema a cui di solito non si pensa. Per esempio, il libro evidenzia il forte contributo dei macelli all'inquinamento (soprattutto delle falde acquifere) o l'impatto sulla salute umana a causa della grande quantità di antibiotici e altri farmaci utilizzati per questo tipo di industria. Descrive i metodi di macellazione, che credo comunque tutti conoscano o possano immaginare. Non ho scoperto nulla di troppo innovativo su quel lato. E' chiaro che si possono raccontare una serie di storie raccapriccianti in un luogo dove ogni giorno sono macellati migliaia di animali. E' chiaro che qualcuno di questi arriva ancora vivo nel pentolone dell'acqua bollente. E' anche evidente che non mi sembra un luogo troppo piacevole dove lavorare. Insomma, ci sono una serie di validi motivi per non amare i macelli e il sistema che li circonda. Che tutto questo induca qualcuno a diventare vegetariano è completamente plausibile. Ognuno sceglie di vivere come vuole. Ma se dobbiamo cercare di capire se tale scelta abbia una logica sottostante diversa dall'emozione personale, una logica che possa magari aiutarci a ragionare su come ottenere un cambiamento per un mondo migliore, estendendo un certo modus pensandi a più persone, beh, allora serve una logica più stringente.
Personalmente non trovo che ci sia nessun ragionamento razionale a sostegno di una vita vegetariana. La tesi del libro e di molti (vedi mille stucchevoli immagini su Facebook di maialini e vitellini con la pistola alla fronte) si basa sull'orrore che suscitano i metodi di macellazione su scala industriale. Ma credo che molti sarebbero scioccati anche dal veder tirare il collo ad una gallina (ulteriore segno, se ce ne fosse bisogno, del rammollimento della civiltà occidentale).
Sono sicuro che nessuno può mettere in dubbio che il modo in cui gli animali sono allevati, nutriti e uccisi è in larga parte disumano e debba essere migliorato, sia per la salute animale che per quella umana. Ma il vegetarianismo non è la risposta. Mi sembra abbastanza cieco pensare di cambiare questo sistema smettendo di mangiare animali. E' lo stesso principio del boicottare una marca nel tentativo di far cambiare corso alle cose. E' dal periodo del “flower power” che questo stratagemma ha mostrato tutta la sua inefficienza. Si può farlo come scelta personale, ma non vi è alcuna possibilità di modificare il mondo in questo modo, a meno che voi non siate Gandhi (e anche sul suo successo ci sarebbe qualcosa da ridire). 
Questo sistema folle di trattare e macellare gli animali è legato ad un solo fatidico e altrettanto folle concetto. Quello di produrre ogni anno sempre più carne, senza sosta, in un'infinita fattoria degli orrori. E tutto questo risponde ad un altro sistema, altrettanto sciocco, altrettanto folle, chiamato capitalismo.
Vogliamo avere un modo più “umano” di mangiare gli animali? Sono d'accordo. Vogliamo avere un modo più sostenibile di vivere nel mondo occidentale? Sono pienamente d'accordo.
C'è un solo modo: uccidere il capitalismo. E questo è il vero punto dell'Ozioso. Alla prossima puntata.
L'Ozioso

domenica 13 ottobre 2013

Giappone, mon amour

Nell'ultimo post ho detto che avrei rivelato dov'ero stato in viaggio. Ebbene, in Giappone. Tre settimane di intenso tour cultural-linguistico-religioso-gastronomico. Il fatto di esserne tornato vivo mi induce a lasciare una testimonianza dell'esperienza. Non che il Giappone sia di per sé pericoloso e non credo di rischiare nemmeno l'insorgenza di malattie strane e raccapriccianti. Tuttavia, voglio dare a chi legge un semplice consiglio: non andateci mai, per nessuna ragione, in agosto! Le temperature sono da girone infernale, con un'umidità tropicale che impedisce ad ogni singolo poro di respirare. Tokyo è un forno di acciaio e cemento a 40 gradi. Ora ho una collega giapponese (proprio di Tokyo) la quale mi ha detto al rientro: “ma nemmeno io andrei mai a casa in agosto!”. Della serie: sei un cretino.
Comunque a parte le condizioni atmosferiche proibitive, il Giappone è una terra straordinaria. Il primo impatto all'arrivo è stato proprio con l'oggetto che i giapponesi sembrano adorare di più: il WC. Un simpatico tastierino vi permette di selezionare diverse opzioni. Non avendo il bidet, l'ingegnosità nipponica ha pensato bene di fonderne le funzioni nel water closet. E così, alla fine della vostra attività, pigiate un pulsantino e un getto di acqua calda verrà direzionato proprio lì, su quel punto ultrasensibile, ultimo tratto del vostro apparato digerente. Con una precisione che lascia attoniti! Io personalmente ho trovato un po' fastidioso questo getto così preciso, ma qualcuno (e non farò nomi) lo trovava piacevole. De gustibus. Negli apparati più sofisticati potete anche regolare la temperatura dell'acqua (e quella della tavoletta dove poggiate le terga). 












Ma lo stupore e l'ammirazione hanno raggiunto vette sublimi quando in uno dei ryokan in cui abbiamo alloggiato, aprendo la porta del bagno, il WC ha spalancato da solo il suo coperchio e i suoi led blu si sono accesi e illuminati per darmi il benvenuto. Gli mancava solo la parola. Commovente. 
Forse il grado di civiltà di una nazione si dovrebbe misurare sulla base dell'attenzione che essa pone su quest'atto così importante. I giapponesi, non c'è che dire, sono un popolo straordinario. 
L'ozioso

domenica 29 settembre 2013

L'ozio: un manifesto


E' da un po' che sono silenzioso sul blog. Ma ho una buona ragione. Sono stato in viaggio (vi rivelerò in futuro dove) e mi sono trasferito a vivere in un nuovo paese, un po' più a nord appunto. Ad essere precisi in Svizzera. Ho in mente molti temi da trattare e molti pensieri che vorrei esporre e mi piacerebbe che il blog fosse anche una fonte di dibattito e di discussione. Non sempre (quasi mai) è possibile affrontare temi complessi nei dibattiti che si fanno tra amici e conoscenti. Il tempo è poco, la gente si stanca e non si arriva mai in profondità nei ragionamenti. Ma la scrittura può aiutare chi vuole andare a fondo ad essere preciso, rigoroso e attento. Sarebbe bello che il web servisse a questo e non solo a scrivere che Giuseppe, Ciccio e Nando in questo momento sono alla Duna degli Orsi a farsi un cannone. Per carità, mi interessa moltissimo seguire la vita di Giuseppe, Ciccio e Nando minuto per minuto, soprattutto se non ne ho una mia da vivere...
Tuttavia, prima di scrivere altri post sul blog sento di dover diffondere una professione di fede che giustifichi il nomignolo con cui scrivo: L'ozioso. Riporto quindi di seguito un articolo sul tema del lavoro (anche perchè se sono salito a nord è per questo motivo) che qualcuno avrà già visto (mica tanti a essere sinceri), ma che sarà introduttivo per il taglio di tutti i post futuri. Ci rivediamo a breve su questo blog. Buona lettura.

1 maggio - Il tempo, tessuto della vita.

Ormai da qualche anno non posso fare a meno di notare la grande ironia che c'è nella festa del 1 maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, che festeggiamo... non lavorando! Che è un po' come fare la festa della birra senza la birra.
Questo è uno dei grandi paradossi della nostra decadente civiltà occidentale. Le promesse di una vita felice, dove le macchine avrebbero lavorato al posto dell'uomo, si sono dissolte da tempo, almeno dall'avvento della Rivoluzione Industriale, ma forse anche prima.
E' stupefacente quanto accettiamo di buon grado di vendere il nostro tempo per il denaro, che ci permette di soddisfare una lunga serie di falsi bisogni. Il Potere ha raggiunto il suo apice nel più diabolico dei modi, con l'istituzione della società disciplinare che tutto vede e tutto controlla. L'incubo di Orwell, il Grande Fratello che ci osserva, esiste davvero; e la cosa più terribile è che non ci accorgiamo della sua presenza (la più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esista).
Il nostro mondo non può permettersi di avere fannulloni che vagano per le strade o persone dedite all'ozio con troppo tempo a disposizione. Queste persone, che il Potere giudica pericolose, fanno una cosa che gli altri usualmente non hanno il tempo di fare: pensano. E arrivano a capire che siamo vittima di un inganno. E allora bisogna tenerle occupate, trovare un lavoro a tutti, farle divertire, distrarle...
Ma il vero indice di felicità di una nazione dovrebbe essere il tasso di disoccupazione. Ben vengano i licenziamenti e le casse integrazioni! Vogliono farci credere che il lavoro sia il valore supremo, quello grazie al quale tutta la nostra vita acquista significato per riflesso. Non è così.
Nel 1882 il grande Nietzsche già scriveva nella Gaia Scienza: “c'è una selvatichezza indiana, caratteristica del sangue indiano, nel modo in cui gli americani stanno dietro all'oro; e la loro affannosa furia di lavoro – il vero e proprio vizio del nuovo mondo – comincia a inselvatichire per contagio la vecchia Europa e a spandervi sopra una singolarissima insulsaggine”.
Sentiamo invece Cicerone: “si deve considerare come qualcosa di basso e di vile il mestiere di tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, poiché chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette al livello degli schiavi”.
Infatti siamo questo: schiavi salariati. Vendiamo il nostro tempo, cioè il bene più prezioso che possiamo avere. 
E' da duemila anni che pensatori di ogni tipo da est a ovest hanno capito questo; e noi abbiamo impiegato pochi secoli per costruirci una gabbia d'oro nella quale siamo imprigionati. 
Io non voglio vivere in una repubblica fondata sul lavoro. Voglio una repubblica fondata sull'ozio, che è la ricerca della felicità (sempre che voglia davvero vivere in una repubblica, ma questo è un altro discorso...).
Viva l'anarchia, viva l'ozio, viva la felicità.
L'ozioso



mercoledì 4 settembre 2013

C'è sempre da imparare # 1: io mi adatto meglio di te

L'imprinting scolastico che vuole che tutti i buoni propositi inizino con settembre si apprende fin da piccoli.
Molto piccoli. Per l'esattezza a nove mesi esatti. 
Abbiamo festeggiato il complemese in un posto nuovo: il nido d'infanzia.

Dopo la consueta riunione e disbrigo pratiche dove ti spiegano come funziona l'ambientamento triadico (con tre attori in gioco n.d.dl.), sono arrivata al primo giorno di allontanamento con un pò di paura e quel velato senso di colpa che scatta quando sai che lascerai il pupo per 8 ore al giorno a qualcun'altro.


Questa la scena di oggi al primo allontanamento di un'oretta circa:
Io: "allora, io vado, poi torno eh, me lo dai un bacione?"
Lui: "brrrr, ghghgh [bella questa cosa scoppiettante e rotonda, ghghg]
Io: "ehi, vado eh, ciao, ....ciao"
Lui: "brrrrrrrrrrrrrrrr tatata" guardandomi di striscio

Della serie, "che vuoi, io sto cercando di capire cos'è questa cosa"

Tornata dopo un'ora, nemmeno mi ha visto. Era intento a giocare con una sogliola di plastica.

E io che pensavo avesse pianto, o mi avesse cercato.

sabato 20 luglio 2013

Un estraneo alla ricerca di una nuova rotta


A volte, il sabato, amo fare lo spettatore e osservare lo spettacolo del mondo. Sono quelle giornate precedute da un venerdì molto intenso, che si sono concluse con una bella serata lieta, finita alle quattro del mattino. Una lunga mattina di sonno mi fa aprire gli occhi al sole e da lì inizia lo spettacolo. Vivo la giornata senza parlare con nessuno, esco, faccio spesa, vado al parco, leggo, in una sorta di estraneità rispetto al mondo. Il tempo di questi sabati è infatti dilatato o sospeso; vissuto senza orari e senza impegni mi permette di essere uno spettatore della mia stessa vita e vederla dall'esterno.
E' così che ho maturato la riflessione che segue. Ho l'impressione di non avere fatto parte delle età che ho già vissuto. Se osservo i ventenni di oggi e li guardo, mi sembrano una razza aliena della quale io non ho fatto parte. Non ho vissuto le loro esperienze e tuttavia mi sento in sintonia con loro ora, come non lo sono stato quando avevo la loro età, pur notando che ho un'esperienza della vita che a loro manca e in qualche modo mi differenzia. Ma per ciò che riguarda la loro vita interiore, la voglia di giocare con gli avvenimenti della vita, il senso di fiducia verso il futuro e di atteggiarsi come se avessero ancora tutto il tempo del mondo (e in effetti è così), li sento molto vicini. Ma questo non era quello che pensavo alla loro età.
Allo stesso modo, durante l'università, provavo una comunanza con i liceali che mi è sempre stata del tutto estranea negli anni dell'adolescenza. Sembra di vivere ogni stagione della vita con un passo di ritardo rispetto a quello che la natura aveva previsto e questo mi rende in qualche modo un apolide temporale. Vivo sempre un tempo che non è il mio e lo trovo riflesso nella generazione che mi precede, come una macchina del tempo che mi ha trasportato nel futuro.

Ora che vivo i miei trent'anni, temo non vivrò ciò che normalmente si fa a trent'anni, ma quando ne avrò quaranta guarderò i trentenni e mi specchierò in loro e così via fino alla fine del mio tempo. 
Mi trovo ora ad un nuovo capitolo che mi porta un po' più a nord, verso un nuovo lavoro e una nuova vita. E ancora una volta mi sembra di vivere un tempo diverso da quello dei coetanei che ora stanno mettendo radici.


Posto davanti all'offerta del venditore d'almanacchi di Leopardi, chi non vorrebbe rivivere la propria vita? Il vero sogno non è l'immortalità ma la reversibilità: lo scoprirmi la brutta copia del tema che sto scrivendo; cancellare, allungare, modificare il passato; risistemare le frasi ora che il pensiero s'è delineato con chiarezza. Se poi mi dovessi accorgere che anche così la vita non funziona a dovere, tornare indietro di nuovo sino ad ottenere una sinfonia di variazioni sul tema di me stesso. Questo sogno irrealizzabile serve forse, assieme alla nostalgia delle occasioni perdute, a sottolineare che straordinario miracolo siano quelle colte, le imprese realizzate, i rari sogni attinti.
Per questo vado a nord.
L'ozioso


lunedì 17 giugno 2013

Siamo nati in Italì

Volevo scrivere un post sui nostri 7 giorni in vacanza, nella civilissima Inghilterra, tra il Kent e il Wiltshire, e delle rose di Portobello Road, visto che a detta di un Londoner. orgoglioso delle sue origini irlandesi, "London is not UK, London is London", della guida a sinistra, dei parcheggi park and ride pieni di ciclisti, di come sono belle le campagne inglesi nelle giornate di sole, e ventose. Dell'amore appena sbocciato tutto cuori ed insalata.

Insomma il solito temino da vacanze.
Quindi questa volta no.

La vacanza è stata bellissima e nuova, visto il terzo passeggero che funge da puntualissima sveglia alle 6.30 del mattino, ma sono rientrata con l'amaro in bocca.
Ho impiegato qualche giorno a realizzare a cosa esattamente fosse dovuto, provo a buttar lì qualche idea volante.

A me questa storia dell'estero piace tanto. Da buona italiana sono sicuramente affetta da esterofilia cronica, (chè poi vanno talmente dimmerda le cose qui, che ci vuol poco, ma sorvoliamo), mi piace viaggiare e conoscere tutti i costumi del luogo, mangiare le cose del posto, adattarmi agli orari del posto (compresa la cena alle 18), e guardo sempre con ammirazione la civiltà, con tolleranza le distorsioni.
Però l'Italia è un bel paese ed è sempre bello quando torni a casa, anche se ti ritrovi tra uomini medi (di media statura, media stazza, media cultura, media fede).
Ritorni e sei felice di tornare, ma poi trovi una nazione in cui le persone che escono fuori dal coro e fuori dalla media, partono, smettono di lottare, di scontrarsi con la medità e con la frustrazione di vedere i propri meriti o le proprie ambizioni puntualmente non riconosciute. Ritrovi insomma il contenitore, senza il suo bellissimo contenuto.


Una perenne diaspora, che porta le persone dal Sud al Nord, e dal Nord al Nord Europa, al Nord America e così via.
In questo modo, a 12 anni (mi avvio ai 13 compiuti) dalla partenza dalla mia isola vivo in una città che sento completamente mia, ma che, fatta eccezione di un gruppo sparuto di amici che si contano su due mani (e non esagero), si è svuotata di tutte quelle persone che per otto anni hanno fatto il mio mondo. 
E queste persone sono tutte all'estero, con pochissime possibilità di rientro. Un pò come le mie di ritornare nella mia terra.

Ok, avrò un sacco di porti franchi in cui riparare, volti amici da rivedere in varie parti del mondo, ma che te ne fai di una scatola di biscotti vuota quando non sei abituata a fare in casa i biscotti? Mia madre (negata in cucina) usa la vecchia scatola di latta dei biscotti al plasmon per contenere i lucidi e le spazzole per le scarpe... 

Così ho salutato una di queste persone, felice per la sua vita, ma con l'amarezza di essere da sempre in luoghi lontani, e di tornare a guardare un fondo di latta.

lunedì 22 aprile 2013

L'evoluzione della specie secondo Dielle

Sottotitolo: Darwin e la vita reale

A scanso di equivoci chiarisco subito che non ho alcuna pretesa di riformulare gli enunciati darwiniani, non ne sarei all'altezza e non ho abbastanza neuroni riposati per nemmeno pensarlo; ma trovo sorprendente come questo a me carissimo uomo abbia trovato LA legge che governa il mondo e l'andamento della vita reale.

E la scorsa settimana ne abbiamo avuto un esempio.

Dopo mesi di immobilismo politico [che onestamente ha sfrantecato abbastanza i pejotes giusto per essere un pò erudita] si è presentata l'occasione di dare non dico un colpo di reni (che sarebbe stato troppo) ma almeno un timido buffetto a chi si ostina a credere di non avere del tutto perso, ma nemmeno del tutto vinto le elezioni, di chi si ostina a sostenere che alla veneranda età di 73 anni può ancora offrire l'alternativa e sti cazzi andanti.

Insomma, Pierlu Mc Leod non dico che poteva finalmente tagliare la testa a Silvio il Kurgan, ma almeno sferrare un colpo timido alla sua autostima.
L'occasione era d'oro: sfruttare il lavoro di altri (leggasi quirinarie), lavoro che una volta tanto aveva sfornato un buon nome.
Rodotà, un pò come Ramirez avrebbe potuto essere l'anello di congiunzione con una parte politica con cui notoriamente NON ci si può parlare (io quando li vedo lì con quell' aria da bimbi presuntuosi e saputelli, c'ho il prurito alle mani c'ho), inoltre se andava male, bastava dare la colpa ai 48 mila cittadini che l'hanno votato e alla fazione che li ha appoggiati. Compresi i cecchini...

Insomma, Pierlu Mc Leod ha avuto occasione di effettuare un salto di qualità, sviluppare una qualche caratteristica amorfa e forse un pò bruttina ma che gli avrebbe salvato la vita.

Ora vi chiederete "e questo che c'entra con Darwin?"
Anche Darwin sembra perplesso ma ora ci arrivo
Uno degli esempi che mi è rimasto impresso sulla selezione naturale è quello delle giraffe.
In pochissime parole, tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, esistevano vari tipi di giraffe. C'erano quelle bellissime proporzionate, dalle dimensioni simili ad una zebra ma con il manto maculato, e quelle un pò deformi, avevano il collo più lungo e quando si incrociavano fra loro nascevano giraffoni con il collo ancora più lungo. Queste giraffone giganti venivano derise dalle altre giraffe: insomma erano sproporzionate, un vero scherzo della natura, non si erano mai visti colli così e bla bla bla. Queste giraffone ci soffrivano un pò per questa emarginazione, però, orgogliose della loro natura non pensarono mai di ricorrere ad un chirurgo estetico per farsi ridurre il collo e fare di tutto per assomigliare alle belle giraffe dal collo corto.
Un bel giorno arrivò un caldo micidiale, morirono tutti i piccoli alberi e sopravvissero solo quelli alti. E così le giraffone si fecero una gran risata e continuarono a mangiare le foglie degli alberi alti, mentre le giraffe dal collo corto si estinsero.

Ecco Pierlu, avresti dovuto studiare un pò di più biologia alle superiori e apprendere dalle giraffe.
A volte gli accrocchi un pò deformi, o le mosse che sembrano contro natura, potrebbero essere quelle che ti salvano dall'estinzione.

Credo che tu adesso abbia imparato la lezione, estinguendoti.
E la cosa brutta è che non si vedono delle giraffone all'orizzonte, ma solo degli orchi cattivi...

martedì 5 marzo 2013

Una settimana fa (storie di highlander e simili avventure da incubo)

Pierlu MacLeod vs il Kurgan Silvio (per l''occasione immagine stirata ad hoc...)
Una settimana fa, era un lunedì mattina, mi svegliai in forma, misi a letto il pargolo mi dedicai alla preparazione di due focacce con cime di rapa, salsiccia e provola affumicata.
Sarebbe stata una serata importante quella che stava per arrivare: avremmo assistito ad una sfida all'ultimo voto.

Si respirava un cauto ottimismo, sommerso da almeno 20 anni di delusioni, ed una leggera paura dell'arcinoto nemico, ma l'invito a cena era ilare e la compagnia buona, quindi come nei film horror la mia vita scorreva tranquilla, ignara della colonna sonora distorta e sincopata che faceva presagire niente di buono (tranne le focacce).

E infatti, alle 15.00, Mentana bussò alla porta senza istant poll ma con il primo cattivo presagio: il divario tra i due immortali  Pier Luigi MacLeod e Silvio il Kurgan non sarebbe stato così ampio.
Il quadro sembrò peggiorare alle prime proiezioni: mentre la pasta cuoceva in forno e Masia cercava di spiegare il termine intervallo di confidenza (senza successo), il Kurgan passò in vantaggio.
Una settimana fa, era un lunedì pomeriggio, la tv diventata un enorme stargate, mi catapultò in un incubo.

Dalla quale non sono ancora uscita.

A comedian turned activist

o più semplicemente un anarchico golpista senza amore di patria..



mercoledì 30 gennaio 2013

De invidia borlengis

Da mesi ormai sono stata costretta ad abbandonare questi lidi, non per mia volontà ma per eventi che hanno cambiato la mia condizione.

Qualche mese fa mi è stata diagnosticata un'acuta forma di invidia borlengis: trattasi di un'infermità psicosomatica ad altissima incidenza tra le giovani gestanti, residenti a Modena, che non siano state già sensibilizzate da toxoplasma gondii.

La mancata infezione con il toxoplasma costringe infatti a rinunciare a tutti gli alimenti crudi e a tutti i preparati che li contengono, compresi gli amati borlenghi, al fine di non contrarre l'infezione durante la gravidanza.
L'infezione da toxoplasma è dannosissima per il piccolo ospite ma la suddetta astinenza, con il passare dei mesi, può determinare la comparsa di questo disturbo psicosomatico.

Questi gli invalidanti sintomi che mi hanno colpito e contro i quali ho dovuto sottopormi ad alcune pratiche ascetiche al fine di evitare violenti raptus (in particolare verso il marito ingordo):
  • sciallorrea in presenza di chioschi con borlenghi o di menù con l'indicazione "borlenghi"
  • acuminazione della vista e dell'olfatto verso le persone con in mano un borlengo
  • rabbia e frustrazione verso i vicini che ne fanno consumo
  • ma anche depressione
  • senso di inadeguatezza e di inappetenza davanti all'ennesima tigella al prosciutto, cotto
  • tremore delle mani alla vista di un piatto con borlenghi
  • sudorazione
  • tic motori e fonatori 
(per questo motivo si pensa che l'invidia borlengis sia una patologia ancora oggi sottostimata in quanto erroneamente ascritta a sindrome di Tourette, per fortuna mi sono rivolta ad un valido specialista)
specialista in malattie rare e animali immaginari (e viceversa)

Come potrai immaginare questi sintomi mi hanno costretto ad una cura e all'astinenza forzata da luoghi atti alla produzione dei borlenghi e l'internato non ha favorito la ripresa alle mie abitudini.

Con letizia posso però confermarti che dal 02 dicembre, essendomi liberata del mio piccolo ospite, sto velocemente e parzialmente recuperando tutte le mie capacità psicofisiche e alimentari.

Posso considerare passato il peggio anche se al momento la mancanza di sonno causa nuovo piccolo uomo in casa, non favorisce comunque il mio recupero psicologico.
Unico consiglio per evitare la recidiva o il contagio: allontanarsi da Modena durante la gravidanza.