martedì 16 settembre 2014

Le parole dimenticate: l'estetica della vita


C'è un'antichissima discussione su ciò che può essere definito bello o brutto; ed è incontestabile che tali categorie siano di natura culturale. Un'affascinante teoria della critica dell'arte afferma che noi vediamo belle le statue greche perchè deriviamo da tale civiltà e abbiamo ereditato, quasi geneticamente, la predisposizione a ritenere belle e armoniose tali forme; in qualche modo usiamo ancora quei canoni per guardare il mondo.
Ma in realtà qui non vorrei soffermarmi su questo aspetto, ma sulla parola estetica intesa in senso più ampio, come la intendevano D'Annunzio e Wilde e Marinetti, solo per citare i dandies più famosi. L'estetica nel senso di fare della propria vita un'opera d'arte. Oggi sembra un'impresa impossibile, ma immagino lo fosse 
anche cento anni fa e per questo guardiamo con ammirazione chi è riuscito a vivere il Bello con tanta intensità. I dandies avevano fatto di questo un imperativo e una sorta di religione (basti pensare a Huysman e al suo capolavoro decadente A rebours). E' possibile seguire il loro esempio? Oggi? Mi piace pensare che sia possibile cercare un modo per arginare la volgarità del mondo. Il mondo chiaramente non si cambia, ma si può tenerlo a bada lavorando su se stessi. C'è una sorta di elevazione morale nella ricerca del Bello che ha qualcosa di spirituale. E' la tensione verso ciò che è più alto che costringe a controllare le proprie azioni, a mantenere un certo contegno, a scivolare con eleganza sulle cose del mondo raccogliendo soltanto i fiori più profumati. E' una sorta di rispetto verso il mondo e i suoi abitanti. E', infine, un modo di godersi la vita a cui tutti dovrebbero essere rieducati. Molte cose sono contrarie a questo approccio: la volgarità del mondo con la sua fretta, le sue esagerazioni, i suoi eccessi, la volgarità delle persone con la loro ineleganza che pretende di essere naturalezza e la totale mancanza di cultura che impera in ogni campo dell'essere. Il vecchio discorso sul fatto che non esista più una cultura di serie A e una di serie B mi fa ridere. Se è vero che esiste una sola cultura non esistono comunque le persone che possano discuterne, se non in una piccola élite. Un tempo questa era l'élite che governava il mondo, oggi si tratta di esimi sconosciuti che stanno chiusi nelle loro riflessioni e hanno smesso di raccontarle agli altri perchè è molto facile per l'”illetterato” trasformare qualunque discorso in una idiozia. Il sistema è diabolico. Alzi la mano chi non ha provato durante una cena tra amici a discutere seriamente di qualche argomento, per il puro amore di confrontarsi con gli altri, di condividere quanto conosce, per capire quali sono gli altri punti di vista, per crescere assieme (tesi-antitesi-sintesi). Immancabilmente c'è qualcuno che con una battuta ferale e solitamente di bassa lega fa precipitare il tono della conversazione verso abissi di nullità. Un tempo l'élite, pur se lontana dalla gente della strada, riusciva a sedurre tutti e anche chi non capiva i discorsi più elevati si rendeva conto che c'era del buono nelle parole che sentiva. Oggi l'uomo della strada non solo non comprende, ma soprattutto non ha la sensibilità di capire dove orientare la sua ricerca e si lascia andare a comportamenti animaleschi e ferini come il peggiore selvaggio.
Oggi l'amore per la vacuità è misura di tutte le cose.

L'Ozioso