domenica 29 settembre 2013

L'ozio: un manifesto


E' da un po' che sono silenzioso sul blog. Ma ho una buona ragione. Sono stato in viaggio (vi rivelerò in futuro dove) e mi sono trasferito a vivere in un nuovo paese, un po' più a nord appunto. Ad essere precisi in Svizzera. Ho in mente molti temi da trattare e molti pensieri che vorrei esporre e mi piacerebbe che il blog fosse anche una fonte di dibattito e di discussione. Non sempre (quasi mai) è possibile affrontare temi complessi nei dibattiti che si fanno tra amici e conoscenti. Il tempo è poco, la gente si stanca e non si arriva mai in profondità nei ragionamenti. Ma la scrittura può aiutare chi vuole andare a fondo ad essere preciso, rigoroso e attento. Sarebbe bello che il web servisse a questo e non solo a scrivere che Giuseppe, Ciccio e Nando in questo momento sono alla Duna degli Orsi a farsi un cannone. Per carità, mi interessa moltissimo seguire la vita di Giuseppe, Ciccio e Nando minuto per minuto, soprattutto se non ne ho una mia da vivere...
Tuttavia, prima di scrivere altri post sul blog sento di dover diffondere una professione di fede che giustifichi il nomignolo con cui scrivo: L'ozioso. Riporto quindi di seguito un articolo sul tema del lavoro (anche perchè se sono salito a nord è per questo motivo) che qualcuno avrà già visto (mica tanti a essere sinceri), ma che sarà introduttivo per il taglio di tutti i post futuri. Ci rivediamo a breve su questo blog. Buona lettura.

1 maggio - Il tempo, tessuto della vita.

Ormai da qualche anno non posso fare a meno di notare la grande ironia che c'è nella festa del 1 maggio, festa del lavoro e dei lavoratori, che festeggiamo... non lavorando! Che è un po' come fare la festa della birra senza la birra.
Questo è uno dei grandi paradossi della nostra decadente civiltà occidentale. Le promesse di una vita felice, dove le macchine avrebbero lavorato al posto dell'uomo, si sono dissolte da tempo, almeno dall'avvento della Rivoluzione Industriale, ma forse anche prima.
E' stupefacente quanto accettiamo di buon grado di vendere il nostro tempo per il denaro, che ci permette di soddisfare una lunga serie di falsi bisogni. Il Potere ha raggiunto il suo apice nel più diabolico dei modi, con l'istituzione della società disciplinare che tutto vede e tutto controlla. L'incubo di Orwell, il Grande Fratello che ci osserva, esiste davvero; e la cosa più terribile è che non ci accorgiamo della sua presenza (la più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esista).
Il nostro mondo non può permettersi di avere fannulloni che vagano per le strade o persone dedite all'ozio con troppo tempo a disposizione. Queste persone, che il Potere giudica pericolose, fanno una cosa che gli altri usualmente non hanno il tempo di fare: pensano. E arrivano a capire che siamo vittima di un inganno. E allora bisogna tenerle occupate, trovare un lavoro a tutti, farle divertire, distrarle...
Ma il vero indice di felicità di una nazione dovrebbe essere il tasso di disoccupazione. Ben vengano i licenziamenti e le casse integrazioni! Vogliono farci credere che il lavoro sia il valore supremo, quello grazie al quale tutta la nostra vita acquista significato per riflesso. Non è così.
Nel 1882 il grande Nietzsche già scriveva nella Gaia Scienza: “c'è una selvatichezza indiana, caratteristica del sangue indiano, nel modo in cui gli americani stanno dietro all'oro; e la loro affannosa furia di lavoro – il vero e proprio vizio del nuovo mondo – comincia a inselvatichire per contagio la vecchia Europa e a spandervi sopra una singolarissima insulsaggine”.
Sentiamo invece Cicerone: “si deve considerare come qualcosa di basso e di vile il mestiere di tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, poiché chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette al livello degli schiavi”.
Infatti siamo questo: schiavi salariati. Vendiamo il nostro tempo, cioè il bene più prezioso che possiamo avere. 
E' da duemila anni che pensatori di ogni tipo da est a ovest hanno capito questo; e noi abbiamo impiegato pochi secoli per costruirci una gabbia d'oro nella quale siamo imprigionati. 
Io non voglio vivere in una repubblica fondata sul lavoro. Voglio una repubblica fondata sull'ozio, che è la ricerca della felicità (sempre che voglia davvero vivere in una repubblica, ma questo è un altro discorso...).
Viva l'anarchia, viva l'ozio, viva la felicità.
L'ozioso



mercoledì 4 settembre 2013

C'è sempre da imparare # 1: io mi adatto meglio di te

L'imprinting scolastico che vuole che tutti i buoni propositi inizino con settembre si apprende fin da piccoli.
Molto piccoli. Per l'esattezza a nove mesi esatti. 
Abbiamo festeggiato il complemese in un posto nuovo: il nido d'infanzia.

Dopo la consueta riunione e disbrigo pratiche dove ti spiegano come funziona l'ambientamento triadico (con tre attori in gioco n.d.dl.), sono arrivata al primo giorno di allontanamento con un pò di paura e quel velato senso di colpa che scatta quando sai che lascerai il pupo per 8 ore al giorno a qualcun'altro.


Questa la scena di oggi al primo allontanamento di un'oretta circa:
Io: "allora, io vado, poi torno eh, me lo dai un bacione?"
Lui: "brrrr, ghghgh [bella questa cosa scoppiettante e rotonda, ghghg]
Io: "ehi, vado eh, ciao, ....ciao"
Lui: "brrrrrrrrrrrrrrrr tatata" guardandomi di striscio

Della serie, "che vuoi, io sto cercando di capire cos'è questa cosa"

Tornata dopo un'ora, nemmeno mi ha visto. Era intento a giocare con una sogliola di plastica.

E io che pensavo avesse pianto, o mi avesse cercato.