sabato 20 giugno 2015

Questo non è un paese per mamme

Disclemer: scrivo questo post tardi (per il mio attuale bioritmo puntato alla sveglia delle 3.00 am e delle 6.00 am) e senza un preciso schema mentale su dove voglio andare a parare. Trattasi di sfogo notturno, non mi prendo la responsabilità per la probabile deriva emo né tantomeno per eventuali errori di battitura, oggi.
 
12 giugno 2015: si stava seduti a cena e tra un brindisi e l'altro, accoglievo la mia splendida ospite. Si parlava di cambiamenti, delle cose da fare al ritorno del viaggio di nozze. Una frase ha lasciato un solco sui miei pensieri sommersi, quelli che ormai viaggiano su un canale a bassa frequenza, schiacciati dalla frenesia quotidiana: "Lo spronerò a cambiare, perché cambiare è sempre una cosa positiva".
 
E io di cambiamenti, a pensarci bene, ne ho messi in fila parecchi nella mia vita. A 18 anni ho cambiato il mio stato familiare, andando via di casa per studiare. Ho smesso di fumare per tutta l'università, per poi ricominciare durante il dottorato, e poi di nuovo smettere, questa volta definitivamente, quando ho deciso di far cambiare il mio stato familiare anche al moroso storico. Ho lavorato in un irish-pub mentre di giorno lavoravo all'università per mantenere le birre della settimana e l'affitto, e il lunedì ero contenta di tornare in laboratorio perché mi riposavo dal we di lavoro al pub.
Nel 2009 ho cambiato lavoro (entrambi in realtà), ho cambiato stato civile e ho comprato casa, tutto in 9 mesi.
Poi un po' di pausa fino al 2012 e al 2014 quando ho deciso di cambiare una delle cose più caratterizzanti di me stessa: il mio corpo. Sono diventata bi-mamma, portatrice sana di notevoli cicatrici da varicella (contratta durante la prima gravidanza e quindi non curata) e di diverse smagliature, oltre che di 10 chili in più (ancora misterioso quel caso di donne che allattano e si prosciugano, io allatto e resto sempre uguale...mah).
Non so dire di preciso quando, credo che il tarlo ci sia sempre stato a partire dai miei 18 anni, pian piano ho capito di essere atea e finalmente ho cominciato ad accettarmi come tale.
 
E si, posso dire che per quanto molti di questi cambiamenti siano stati costellati da diverse paturnie, crisi, altissimi e bassissimi stati d'animo, sono orgogliosa di esserci arrivata da sola, con la mia testa dura, quella che chi mi ha visto crescere fino ai 18 anni, non capisce come possa essere così dura, in effetti.
 
16 giugno 2015: dopo 6 anni di servizio nell'azienda in cui sono cresciuta, ho finalmente misurato come la mia attuale posizione di madre, senza alcun supporto familiare, possa essere un elemento discriminante per il mio profilo professionale. La scelta sarà tra mantenere un posto a tempo indeterminato di 40 ore settimanali, oppure intraprendere una diversa via professionale che mi consenta di andare a prendere i miei figli a scuola alle 16, perché nessun altro può andare a prenderli.
 
20 giugno 2015: oggi ho passato una splendida giornata in compagnia di 3 delle mie più care amiche e colleghe (o ex), e mentre mi defilavo per una poppata e un cambio pannolino pensavo: è vero che i cambiamenti sono una cosa positiva ma quando questi sono mossi dalla limitatezza del pensiero italiano la cosa un pò ti brucia. La morosa tedesca del mio migliore amico qualche giorno fa mi ha chiesto se il datore di lavoro fosse "obbligato dalla legge" ad accettare part time per le donne che lo richiedevano a tutela del diritto al lavoro delle mamme. Mi è quasi sembrata una domanda retorica, avrei voluto risponderle "che credi? l'Italia fa finta di essere evoluta, ma in realtà la nostra mentalità è ancora ferma agli anni '20 del XX secolo." mi sono limitata a dire "questo non è un paese per mamme".