mercoledì 23 ottobre 2013

Lezioni di pendolarismo: lo studente universitario

Fare i pendolari ha i suoi vantaggi.
Ad esempio, piano piano riesci a crogiolarti in alcune abitudini, inizi a riconoscere le facce, ti assuefai all'ansia di arrivare in ritardo (il che spesso può diventare un problema ma niente di irrisolvibile con una buona sveglia sul cellulare) e ti godi il passaggio con attività che normalmente non riusciresti a fare.

Con 12 anni di onorato servizio, posso a tutto diritto considerarmi una pendolare incallita della tratta Bologna Catania, e credo che sia giunto il momento di fare outing. C'è stato un periodo in cui anche io portavo dietro il mio buon libro, o il lettore di mp3, ma in realtà niente mi ha mai distolto davvero come il mio più grande hobby: osservare i viaggiatori del Bologna Catania. 

I viaggiatori del Bologna Catania, sono particolari e diversi da tutti gli altri, persino da quelli del Catania Bologna. Sono una varietà di specie variopinta e multiforme, ma mi piacerebbe intrattenervi con alcune delle più frequenti categorie. Oggi vi parlerò dello studente universitario.                                                                                                                                                                                                                                    Lo studente universitario. Il volo Bologna Catania è pieno di studenti che tornano a casa per le vacanze o tra un esame ed un altro. Normalmente lo studente universitario assorbe come una spugna gli usi dell'ambiente che frequenta ed essendo inesorabilmente siciliano, li esaspera. Sul sedile accanto al tuo puoi trovare il ragazzo con il cappello con la visiera tesa e larga leggermente inclinato a destra MA i pantaloni stretti a sigaretta che lasciano intravvedere le mutande, la maglietta rigorosamente di acrilico a rombi fluorescenti, un misto tra rap e discodance. Se sei fortunata non si è rovesciato sopra l'intera boccia di colonia.
Tipo lui con il cappello
Oppure, il trasandato, barbuto, con un paio di piercing, con il pantalone dal cavallo basso ma largo largo, magari con qualche toppa, le all stairs e la borsetta con il trinciato e le cartine. Se sei fortunata non puzza.

Evidente proiezione di come vorrei che apparisse il trasandato
Entrambi allacciano la cintura e poi svengono a bocca aperta sul sedile.
Lo studente universitario, se non ti stende con i suoi effluvi, è un ottimo compagno di viaggio, non interagisce, dorme tutto il tempo, sta nei suoi spazi.

La studentessa universitaria. Merita una categoria a parte. Le studentesse possono essere vestite diverse, essere fighette o fricchettone, ma in entrambi i casi hanno una caratteristica comune (non pervenuta nei maschi): portano con sé almeno un libro universitario. Rigorosamente fotocopiato. Sottolineato con 4/5 colori diversi. Le trovi già al gate che leggono fitto fitto questo libro e ti chiedi se sia un approccio sistematico o un diversivo per smorzare l'attesa. In ogni caso finché leggono e basta, sono un'ottima compagnia.

Semmai doveste avere dei dubbi su questi due profili avrete sempre la prova del nove. Al gate arriverà sempre, e dico sempre, una chiamata del genitore ansioso di turno, e li dalle loro boccucce serrate e fini uscirà tutto il suono dell'accento meridionalo veramente. Vi saluto con una scena che non è poi così dissimile dalla realtà, alla prossima puntata

lunedì 21 ottobre 2013

"Eating animals"



E' sempre difficile condurre una seria discussione sul vegetarianismo. E' un po' come parlare di religione. Si teme sempre di offendere la sensibilità altrui. Ma così si finisce per non parlare mai del tema. E' molto probabile innescare una lite: da una parte la difesa totale degli animali ("molti animali sono meglio degli esseri umani" è un'affermazione molto comune – e altrettanto stupida) e dall'altro lato il partito del “io mangio qualunque cosa abbia quattro gambe, esclusi i tavoli” - ricco di sostenitori in Cina.
Naturalmente la verità sta nel mezzo, ma il punto di ogni discussione, visto che la verità sta sempre o un più a destra o un più a sinistra, è appunto capire da quale lato pende. 
Ho pensato che la lettura del libro “Eating animals”, del giornalista americano Jonathan Safran Foer, che ha fatto un'inchiesta nel mondo dei macelli durata tre anni, potesse aiutarmi a comprendere meglio la situazione.
Dirò subito che purtroppo il libro non è particolarmente illuminante ed è infarcito di retorica americana. In diversi punti l'autore ci tiene a sottolineare con mielosi episodi infantili i motivi che l'hanno indotto a diventare vegetariano. Vabbè. Naturalmente c'è di mezzo anche il bene dei suoi figli nel momento in cui diventa padre. Vabbè. Per intenderci, il libro vuole parlare alla pancia del lettore e non al cervello (comunque fallisce entrambi gli obiettivi e alla fine della lettura correresti in un prato a fare una grigliata).
Tuttavia ci sono alcune informazioni interessanti che rivelano certe caratteristiche del tema a cui di solito non si pensa. Per esempio, il libro evidenzia il forte contributo dei macelli all'inquinamento (soprattutto delle falde acquifere) o l'impatto sulla salute umana a causa della grande quantità di antibiotici e altri farmaci utilizzati per questo tipo di industria. Descrive i metodi di macellazione, che credo comunque tutti conoscano o possano immaginare. Non ho scoperto nulla di troppo innovativo su quel lato. E' chiaro che si possono raccontare una serie di storie raccapriccianti in un luogo dove ogni giorno sono macellati migliaia di animali. E' chiaro che qualcuno di questi arriva ancora vivo nel pentolone dell'acqua bollente. E' anche evidente che non mi sembra un luogo troppo piacevole dove lavorare. Insomma, ci sono una serie di validi motivi per non amare i macelli e il sistema che li circonda. Che tutto questo induca qualcuno a diventare vegetariano è completamente plausibile. Ognuno sceglie di vivere come vuole. Ma se dobbiamo cercare di capire se tale scelta abbia una logica sottostante diversa dall'emozione personale, una logica che possa magari aiutarci a ragionare su come ottenere un cambiamento per un mondo migliore, estendendo un certo modus pensandi a più persone, beh, allora serve una logica più stringente.
Personalmente non trovo che ci sia nessun ragionamento razionale a sostegno di una vita vegetariana. La tesi del libro e di molti (vedi mille stucchevoli immagini su Facebook di maialini e vitellini con la pistola alla fronte) si basa sull'orrore che suscitano i metodi di macellazione su scala industriale. Ma credo che molti sarebbero scioccati anche dal veder tirare il collo ad una gallina (ulteriore segno, se ce ne fosse bisogno, del rammollimento della civiltà occidentale).
Sono sicuro che nessuno può mettere in dubbio che il modo in cui gli animali sono allevati, nutriti e uccisi è in larga parte disumano e debba essere migliorato, sia per la salute animale che per quella umana. Ma il vegetarianismo non è la risposta. Mi sembra abbastanza cieco pensare di cambiare questo sistema smettendo di mangiare animali. E' lo stesso principio del boicottare una marca nel tentativo di far cambiare corso alle cose. E' dal periodo del “flower power” che questo stratagemma ha mostrato tutta la sua inefficienza. Si può farlo come scelta personale, ma non vi è alcuna possibilità di modificare il mondo in questo modo, a meno che voi non siate Gandhi (e anche sul suo successo ci sarebbe qualcosa da ridire). 
Questo sistema folle di trattare e macellare gli animali è legato ad un solo fatidico e altrettanto folle concetto. Quello di produrre ogni anno sempre più carne, senza sosta, in un'infinita fattoria degli orrori. E tutto questo risponde ad un altro sistema, altrettanto sciocco, altrettanto folle, chiamato capitalismo.
Vogliamo avere un modo più “umano” di mangiare gli animali? Sono d'accordo. Vogliamo avere un modo più sostenibile di vivere nel mondo occidentale? Sono pienamente d'accordo.
C'è un solo modo: uccidere il capitalismo. E questo è il vero punto dell'Ozioso. Alla prossima puntata.
L'Ozioso

domenica 13 ottobre 2013

Giappone, mon amour

Nell'ultimo post ho detto che avrei rivelato dov'ero stato in viaggio. Ebbene, in Giappone. Tre settimane di intenso tour cultural-linguistico-religioso-gastronomico. Il fatto di esserne tornato vivo mi induce a lasciare una testimonianza dell'esperienza. Non che il Giappone sia di per sé pericoloso e non credo di rischiare nemmeno l'insorgenza di malattie strane e raccapriccianti. Tuttavia, voglio dare a chi legge un semplice consiglio: non andateci mai, per nessuna ragione, in agosto! Le temperature sono da girone infernale, con un'umidità tropicale che impedisce ad ogni singolo poro di respirare. Tokyo è un forno di acciaio e cemento a 40 gradi. Ora ho una collega giapponese (proprio di Tokyo) la quale mi ha detto al rientro: “ma nemmeno io andrei mai a casa in agosto!”. Della serie: sei un cretino.
Comunque a parte le condizioni atmosferiche proibitive, il Giappone è una terra straordinaria. Il primo impatto all'arrivo è stato proprio con l'oggetto che i giapponesi sembrano adorare di più: il WC. Un simpatico tastierino vi permette di selezionare diverse opzioni. Non avendo il bidet, l'ingegnosità nipponica ha pensato bene di fonderne le funzioni nel water closet. E così, alla fine della vostra attività, pigiate un pulsantino e un getto di acqua calda verrà direzionato proprio lì, su quel punto ultrasensibile, ultimo tratto del vostro apparato digerente. Con una precisione che lascia attoniti! Io personalmente ho trovato un po' fastidioso questo getto così preciso, ma qualcuno (e non farò nomi) lo trovava piacevole. De gustibus. Negli apparati più sofisticati potete anche regolare la temperatura dell'acqua (e quella della tavoletta dove poggiate le terga). 












Ma lo stupore e l'ammirazione hanno raggiunto vette sublimi quando in uno dei ryokan in cui abbiamo alloggiato, aprendo la porta del bagno, il WC ha spalancato da solo il suo coperchio e i suoi led blu si sono accesi e illuminati per darmi il benvenuto. Gli mancava solo la parola. Commovente. 
Forse il grado di civiltà di una nazione si dovrebbe misurare sulla base dell'attenzione che essa pone su quest'atto così importante. I giapponesi, non c'è che dire, sono un popolo straordinario. 
L'ozioso